Colite ulcerosa
1) Che cos’è la colite ulcerosa?
La colite ulcerosa è una malattia a decorso protratto che interessa l’apparato gastro-enterico e, assieme alla malattia di Crohn, rientra tra le “malattie infiammatorie croniche intestinali”. Nella colite ulcerosa vi è una importante infiammazione che interessa soltanto il grosso intestino, il colon, localizzandosi sempre e comunque nel tratto terminale, ovvero la regione del retto e del sigma. Va detto ancora che la si definisce proctite quando l’infiammazione è soltanto localizzata al retto-sigma, colite sinistra quando l’infiammazione colpisce tutto il colon e colite totale quando tutto il colon è coinvolto.
2) Quanto è frequente in Italia?
Non abbiamo dati ufficiali, ma si calcola che globalmente la colite ulcerosa e la malattia di Crohn colpiscano oltre 100.000 persone in Italia. Si è cercato di calcolare quante persone potrebbero essere colpite ogni anno e si ipotizza un’incidenza pari a 8,1 nuovi casi per 100.000 abitanti, considerando la popolazione adulta, distribuita in modo pressoché uniforme in entrambi i sessi.
3) Come si manifesta, come riconoscerla?
Il sintomo guida è la radicale modificazione dell’alvo, ovvero scariche diarroiche ma con feci miste a sangue e muco, che sono tanto più frequenti quanto la malattia è più severa . Infatti la colite ulcerosa può esordire in forma lieve ma anche con un attacco acuto particolarmente grave. Nei casi di localizzazione rettale (proctite) può comparire anche un quadro di stipsi.
4) Perché c’è diarrea con muco e sangue?
E’ molto importante capire cosa scatena queste scariche diarroiche, ovvero, a quale tipo di sofferenza va incontro la mucosa intestinale. Si tratta di processi infiammatori della mucosa che comprendono, in certi casi, vere e proprie ulcerazioni, che provocano il sanguinamento e il versamento del muco nel lume dell’intestino. Nelle forme più gravi sono presenti disturbi generali, ovvero: febbre, aumento della frequenza cardiaca (tachicardia), anemia, perdita di forze e di appetito, diminuzione delle proteine circolanti e squilibrio di importanti sostanze come potassio, sodio e cloro. Insomma, tutto l’organismo entra in sofferenza.
5) Come diagnosticare la colite ulcerosa?
La diagnosi della malattia viene fatta quando sono riconosciute alcune condizioni:
1. per prima cosa occorre documentare l’infiammazione a livello rettale;
2. In secondo luogo bisogna escludere che quelle lesioni non siano state provocate da una sostanza particolare, quali gli antinfiammatori non steroidei, un’infezione o qualunque agente fisico o chimico;
3. Terzo punto, è necessario essere sicuri che l’infiammazione sia persistente e protratta.
Il primo punto richiede il ricorso all’esame endoscopico, ma limitato al sigma, quindi eseguibile con il sigmoidoscopio flessibile o rigido. Con questo strumento lo specialista vede subito se la mucosa è infiammata e di che tipo sono le lesioni. Può, altresì, fare una biopsia della mucosa. L’esame istologico confermerà poi la presenza dell’infiammazione. Se con la sigmoidoscopia si sono già ben delimitati i confini delle lesioni, ovvero se si vede che non vanno al di là del sigma, si può evitare la colonscopia.
Altrimenti quest’ultimo esame è necessario per stabilire bene le altre localizzazioni, definendo così, anche l’intera; estensione dell’infiammazione. In alternativa si può ricorrere dall’esame radiologico, il clisma opaco a doppio contrasto e in taluni casi anche all’ecografia. Per il secondo punto gli esami fondamentali sono la ricerca di parassiti o di altri agenti infettivi nelle feci, o il prelievo di sangue per escludere la presenza di infezioni recenti. Per il terzo punto la biopsia è di aiuto a identificare la natura dell’infiammazioe; nel caso della colite ulcerosa la lesione cronica si automantiene nel tempo.
6) Come si cura la colite ulcerosa?
Oggi possiamo dire che la malattia viene curata in modo preciso, sicuro e affidabile: l’esperienza accumulata in questi anni, grazie anche a continui scambi di informazioni e di risultati ottenuti con questo o quel farmaco, tra esperti di tutto il mondo, ha fatto sì che siano stati messi a punto protocolli farmacologici validi nelle varie forme della malattia. Si sono evitate così le gravi insidie degli attacchi acuti, che nel passato potevano anche essere mortali. Si sono anche stabiliti criteri utili alla decisione di eseguire un eventuale trattamento chirurgico. Per quanto riguarda strettamente la prevenzione, dobbiamo distinguere tra prevenzione della fase acuta e prevenzione delle recidive.
7) Come si cura la fase acuta?
Nel caso che la malattia esordisca con un attacco severo, vale a dire con più di sei scariche giornaliere feci muco-sanguinolente e disturbi generali, occorre sempre il ricovero in ospedale. Qui gli specialisti sottopongono il malato ad un trattamento intensivo, con alte dosi di cortisone, della durata di circa 7-10 giorni. Sono somministrati anche liquidi, plasma ed elettroliti, nonché sostanze ad alto contenuto calorico.
In oltre la metà dei casi, dal 50 al 70 per cento, la risposta ottenuta è molto buona; viene così evitato l’intervento chirurgico e, soprattutto, il rischio di mortalità è stato del tutto azzerato. Tra le proposte farmacologiche di quest’ultimo periodo, per la fase acuta va segnalata la possibilità di usare anche farmaci immunosoppressori, come la ciclosporina, sempre per via endovenosa.
8) Come si curano gli attacchi lievi o moderati?
In queste forme le scariche non superano mai le 5-6 al giorno, la malattia è generalmente limitata al retto-sigma, estendendosi al massimo al colon di sinistra; qui rispetto al passato c’è stata una vera rivoluzione terapeutica che ha messo in secondo piano la somministrazione di cortisone per bocca e localmente. E così oggi si tende decisamente a privilegiare il trattamento locale, ovvero l’uso di farmaci somministrati per via rettale. Primi tra tutti i clismi, quindi le supposte, a cui si sono aggiunte proprio di recente preparazioni a base di schiuma.
Il principio attivo più frequentemente usato è il 5-ASA, ovvero la parte attiva della molecola salazopirina, che agisce localmente sulla mucosa del colon. Questo nuovo indirizzo di cura, che è nato proprio in Italia, offre oggi la possibilità di controllo degli attacchi, almeno nell’80-90 per cento dei malati; resta così una piccola percentuale di pazienti, non oltre il 15 per cento, che ha ancora bisogno di cortisone per via sistemica. Va aggiunto però che un piccolo gruppo di pazienti, quelli con colite distale refrattaria, può non rispondere a questa terapia “standard”. In questi casi si opta per la somministrazione contemporanea di cortisone e 5-ASA o di immnunosoppressori o per l’impiego protratto nel tempo di 5-ASA.
9) Come si prevengono le ricadute?
Anche qui c’è stato un vero e proprio affinamento terapeutico. La molecola usata nel passato, ovvero la salazopirina, che si era dimostrata in grado di prevenire le ricadute della malattia, ma che aveva numerosi effetti collaterali, è stata sostituita dalla nuova generazione di composti, costituiti appunto dalla sua parte attiva, ovvero il 5-ASA. Si tratta di preparazioni che, assunte per bocca, liberano il principio attivo soltanto dove è effettivamente utile, cioè nel colon. Tutto questo ha contribuito a curare meglio e con maggiore sicurezza per lunghi periodi la stragrande maggioranza dei pazienti con colite ulcerosa.
10) E l’intervento chirurgico?
L’intervento chirurgico può essere effettuato o come terapia alternativa in caso di fallimento della terapia medica, nelle forme severe, oppure come scelta terapeutica nel caso di impoverimento della qualità di vita o scarsa risposta alla terapia medica. Non va più vissuto, comunque, come un evento drammatico in quanto, grazie ai perfezionamenti della tecnica chirurgica, deve essere considerato come un valido strumento terapeutico in grado di eliminare la malattia.
L’intervento chirurgico può essere effettuato secondo una tecnica tradizionale, cioè anastomosi ileo-retto che, come è ben comprensibile dalla parola, prevede l’asportazione del colon malato e l’abboccamento dell’ileo con un piccolo tratto residuo di retto. Siccome il retto è la porzione di intestino sempre colpita, è ovvio che si debba continuare per lunghi periodi con terapie locali e controllo della mucosa rettale.
L’altro intervento, di più recente introduzione, consiste, invece, nella ricostruzione di una nuova tasca rettale con la mucosa dell’intestino tenue, mediante il suo abboccamento con il margine anale (anastomosi ileo-ano). Quest’ultimo intervento presenta il vantaggio di favorire l’eliminazione di ogni area affetta da malattia anche se una percentuale fortunatamente piccola di pazienti può sviluppare una nuova condizione flogistica della nuova ampolla.
Questo quadro, tuttavia, viene comunque ben controllato da un modesto approccio di terapia medica.
11) C’è rischio di cancro?
Questo problema è stato probabilmente eccessivamente enfatizzato negli anni precedenti, in quanto si riportavano i dati riferiti a casistiche caratterizzate dall’osservazione dei malati clinicamente più compromessi. Negli ultimi studi compiuti su una popolazione malata, si è visto che il problema è di poco superiore a quello della popolazione di controllo, non affetta dalla malattia. Negli anni passati sono stati suggeriti o eseguiti dei controlli periodici con colonscopie e biopsie.
La loro efficacia per la prevenzione della displasia grave, quadro preneoplasico, sembra oggetto di discussioni. Probabilmente l’incidenza di forme tumorali si è notevolmente ridimensionata in quanto si cura sempre più e meglio il paziente. Le cure mediche, infatti, riducono il numero degli attacchi e la loro severità e, probabilmente, viene così ridotto lo stimolo indotto dall’infiammazione. L’intervento chirurgico elimina poi quelle situazioni considerate a rischio, quali l’insorgenza in età giovanile, le forme molto attive estese e spesso recidivanti. Ecco perché in alcuni studi il problema della degenerazione maligna viene ritenuto simile a quello della popolazione generale.
Dr. Umberto Favetta Chirurgo Proctologo